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P come Plutone

22 gennaio 2020

Non ho mai avuto paura del giudizio degli altri, ma ho sempre avuto il terrore di non essere capito.

Ho sempre sentito dire che in base a come ti chiamano, puoi capire come ti considerano le persone.

Quando ero alle elementari per tutti ero Ema, Manu…. alle medie diventai “il Mori”.

Odio essere chiamato il Mori.

Credo che la sensazione di essere incompresi sia una delle peggiori nella vita.

Mi ricordo bene quando ero alle medie tutta la buona volontà che ci ho messo per propormi come amico, per inserirmi nei vari gruppetti, cercando di essere semplicemente me stesso.

Fino alle elementari ero sempre stato un po’ con tutti e con tutte, ma in una fascia di età come quella delle medie nella quale iniziano a differenziarsi maggiormente i due sessi mi ritrovai smarrito perché come è normale che sia pure le mie amiche più care Chiara e Raissa ebbero da pensare alle loro cose e ovviamente si affiatavano con le loro coetanee.

Io mi sono sempre sentito un “outsider” uno di quelli che sta un po’ nel mezzo a tutto.

C’erano giorni che ai ragazzi andavo un po’ più a genio e mi sentivo gratificato, mi dicevo “dai Ema forse stanno iniziando a capirti”, ma poi il giorno successivo c’era sempre qualcosa che si spezzava e tornavo daccapo.

Mi sentivo come Plutone, il più lento, il più distante dei pianeti ed il più lontano dalla luce, che a periodi alterni viene considerato un pianeta o declassato ad un pianeta nano.

E continuavo a cercare in me quale fosse il problema.

Pensavo al mio aspetto, troppo retrò con questi maglioni di lana a rombi, i pantaloni di velluto, i jeans 10 taglie più della mia.

All’epoca andava di moda dragon ball e c’era un personaggio chiamato trunks che aveva i capelli lisci viola con la riga nel mezzo, un paio di miei compagni di classe portavano questa acconciatura che spopolava.

Ricordo che mi mettevo davanti allo specchio dopo la doccia e mi pettinavo così, ma poi i miei capelli si arricciavano e diventavo un ridicolo spaventapasseri.

I miei non mi avrebbero permesso di uscire in quel modo ma quando arrivai a scuola mi recai al bagno e mi lavai la testa pettinandomi a quella maniera. Attesi qualche minuto tamponando con la carta e tornai in classe, i miei capelli tornarono ridicoli in breve tempo e tutti ci risero su.

Quella sera a casa mi guardavo allo specchio con tutte le luci accese.

Continuavo a chiedermi cosa non andasse nei miei capelli e perché non rispondessero al mio “comando” come quelli degli altri.

Osservavo i miei occhi nei quali si rifletteva la luce al neon quadrata intorno allo specchio, osservavo quel naso enorme che non era più all’insù come qualche anno prima ma era diventato largo e appuntito.

Mi mettevo di tre quarti ed osservavo la mia fronte che era spaziosissima e curva, non dritta come quella di chiunque altro.

Pensai che forse puntare sull’aspetto fisico non sarebbe stato l’ideale, dunque cercai di propormi con la simpatia o comunque a livello caratteriale.

C’erano volte che riuscivo in qualche modo a farmi notare positivamente con qualche battuta ma mai per più di qualche momento o al massimo di un giorno.

Provavo a invitarli a casa mia in piscina ma fin quando venivano da me mi trattavano come fossi uno di loro, al ritorno a scuola tornavo ad essere quello strano guadagnandomi sempre appellativi poco carini.

La cosa mi ferì ancora di più perché a quel punto non solo mi sentivo poco valorizzato per ciò che ero, ma anche utilizzato per ciò che avevo.

Provavo in tutti i modi a pensare che si trattasse di un semplice sfottò, che quei nomignoli se li dessero anche fra di loro ma dissimulassero sorridendo rafforzando così anche il rapporto … eppure io non riuscivo a fare lo stesso, mi sembrava che con me ci andassero più pesante, sempre di più, e le volte che provavo anche io a smorzare con delle battute probabilmente traspariva la mia reale frustrazione e quindi non risultavo simpatico.

Cercavo in me qualcosa che non andasse, poteva trattarsi della mia scarsa tendenza alle marche ed i brand, alla mia incapacità di capire perché un ragazzino desiderasse una cintura di D&G piuttosto che un gameboy col gioco dei Pokémon, non riuscivo a comprendere tutto questo interesse verso il Fanta calcio, verso i risultati della squadra dell’Empoli, non potevo saltare la scuola poiché avendo una pessima calligrafia non avrei mai saputo falsificare una firma sul libretto delle giustificazioni…. non riuscivo a trovare argomenti o interessi con loro.

Si, non ero l’unico outsider della classe, molte persone saltavano da un gruppetto all’altro ma, non so se sia stata una mia percezione distorta all’epoca o la realtà, mi sentivo l’unico che veramente se fosse scomparso dalla classe sarebbe importato a pochissime persone.

Ormai non trovavo tanto rifugio neanche nel gruppo delle ragazze, devo dire che con loro andava molto meglio ma iniziavano ad esserci i momenti in cui, tutti a sedere insieme, si avvicinavano per parlottarsi nell’orecchio e se provavo a chiedere la risposta era “sono discorsi da donne”.

Discorsi da donne?

Non capivo. Perché io non ho mai vissuto credendo che ci fossero discorsi da uomini, che una ragazza non potesse affrontare.

Non sono mai riuscito ad affrontare la questione coi professori, ci provai sono una volta con Gabriella, l’insegnante del doposcuola che era autoritaria come una professoressa ma vedevo in lei una figura più vicina, forse a causa della sua età più giovane rispetto agli altri professori.

Non credo di essermi spiegato benissimo con lei all’epoca o forse non c’era ancora stata tutta questa sensibilizzazione sul bullismo, ci fu da parte sua la tendenza a ridimensionare il mio disagio spiegandomi che era normale che a quell’età si creassero certi attriti.

Non ho mai messo in dubbio le sue buone intenzioni e del resto non avrei neanche voluto un “processo” a quelli che non mi volevano come amico, anche perché dubito che avrebbe risolto qualcosa, e poi non volevo costringere nessuno ad essermi amico ad ogni costo.

Eppure ogni volta che suonava la campanella della pausa pranzo c’era la corsa ai tavoli (che erano da 4) accaparrandosi i posti più vicini ai compagni di classe preferiti. Mi ritrovavo spesso accanto ad altri che, come me, non erano esattamente sulla cresta dell’onda, addirittura spesso se restavo l’unico fuori andavo a tavola con un professore sentendomi ancora più a disagio …

Purtroppo le mie scuole medie sono state questo, una scuola meravigliosa con ottimi insegnanti ed un programma formativo sensazionale, ma circondato da persone con le quali non sentivo di avere cose in comune.

Nel tempo ho capito che anche se osservando tutti quei pianeti che giravano così veloci e così vicini al sole, al loro posto io non ci sarei stato per nulla bene, non avrei sopportato tutto quel calore; laggiù a miliardi di anni luce dove mi trovavo, quella poca luce che arrivava era tutto ciò che mi serviva, e ho anche scoperto che l’universo non finisce con Plutone.

Poche amicizie hanno resistito a quel periodo, Chiara ad esempio è la luce dei miei occhi e la mia più cara amica.

Adesso, lavorando con i ragazzi di quell’età, ho spesso occasione di notare come la sensibilizzazione sul bullismo abbia fatto tanto…..

Eppure sovente mi capita di vedere qualche altro Plutone, e percepire in loro delle fragilità simili a quelle che ebbi io, e di cui sicuramente ancora oggi mi porto degli strascichi, così cerco discretamente di capire e in caso dare qualche consiglio.

Mi sembra un po’ come se, aiutando loro, aiutassi anche quel piccolo Emanuele che, a suo tempo, nessuno ha salvato.

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